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domenica 9 gennaio 2011

Valentina e Umberto, una storia di negligenza investigativa.

Valentina e Umberto
Maggio 1995, Valentina ha 32 anni e da tredici vive a Torino. Valentina non è una donna, è un trans che lavora in strada e porta i clienti al suo appartamento. Anche lei ha una storia, come tutti noi; la sua parla di una infanzia difficile passata a combattere contro un corpo che non vuole, ed è la stessa identica storia che vive suo fratello.

Nel 1982 decidono insieme di andare via da Molfetta. I loro nomi sono ancora maschili, si chiamano Cosimo ed Antonio Andriani, ma sognano di essere donne e così, dopo diversi interventi chirurgici diventano Valentina ed Asha. Ora possono intraprendere una nuova e redditizia "professione".
La richiesta di transessuali è molto elevata in una città già industrializzata qual'è Torino, e loro cominciano ad accumulare soldi, tanti soldi. Comprano una casa dove vivono di giorno e portano i clienti di notte. Però non è facile stare in strada senza subire minacce da chi pretende una percentuale per ciò che fai, qualche guaio può sempre accadere da un momento all'altro.

Infatti nel '91 Asha viene trovata morta a causa di un colpo alla nuca. Ad ucciderla due ragazzi dopo una prestazione sessuale. Valentina va in crisi e cerca un appoggio, un amore che la aiuti a superare la mancanza del fratello. E' in quel determinato periodo della sua vita che incontra Umberto Prinzi. Lui è di sei anni più giovane e ha avuto qualche problema con la giustizia, ma roba di poco conto che non impedisce la nascita di un nuovo amore. Vanno a convivere da lei, che comunque continua a lavorare in "Corso Ferrucci" ed a portare clienti a casa. Fino alle tre/quattro di notte il viavai è continuo. Valentina batte la strada e lui aspetta abbia finito bazzicando locali notturni. In quegli anni accumula altri soldi, soldi che nasconde in ogni punto dell'appartamento, e fa vivere il suo uomo da gran signore. Ma come in ogni coppia ad un certo punto scoppia la crisi. Nei primi mesi del '95 i litigi sono continui e le urla dei due disturbano continuamente i vicini. Lei non lo vuole più, si è stancata di quell'uomo che è capace solo di chiedere soldi e non le da nulla in cambio.

Ed arriviamo a Lunedì primo Maggio. Si fa sera e le colleghe che non la vedono al lavoro si preoccupano, la conoscono bene e vanno all'appartamento. Tutto è chiuso, allora la richiamano al cellulare ma nessuno risponde. Ancora qualche giorno e la sorella di Valentina, non riuscendo a contattarla, va in commissariato a denunciarne la scomparsa.

Il primo ad essere interrogato è proprio Umberto. Dice che lui l'ha vista per l'ultima volta il Martedì a mezzogiorno, che doveva andare da un cliente di Milano e non aveva voluto che l'accompagnasse. Ma la Polizia indaga e scopre che le ultime quattro chiamate partite dal telefonino di Valentina erano dirette ad altrettanti amici del ragazzo. Su di lui nascono i primi sospetti. Sospetti che aumentano quando scoprono che dopo la scomparsa ha portato le due pellicce di lei in un banco pegni ed ha comprato una nuova auto pagandola in contanti. Soldi presi, a detta del venditore, da una valigetta strapiena di denaro.

Ma nascosti nell'appartamento c'erano 115 milioni ed in banca ancora i 680 che Valentina aveva accumulato col suo lavoro, possibile che lui dopo tanti anni di convivenza non sapesse di quei soldi? Le indagini si afflosciano in quanto non c'è un corpo a testimoniare una morte, ed anche se gli indizi portano a cospiqui sospetti non bastano per un buon processo. Come in ogni buon giallo, però, arriva la svolta.

Barbara e sua sorella Marzia parlano al telefono. Marzia dice che Umberto le ha confessato di essere stato lui ad uccidere Valentina, la loro cugina, e di averla messa in un borsone prima di gettarla in una scarpata. Barbara ne parla agli inquirenti ma Marzia, forse per paura, non conferma. Ma c'è una registrazione che la inchioda alle sue parole e lui viene arrestato. Nello stesso periodo si stanno occupando del caso i giornalisti di "Chi l'ha visto". Alla redazione del programma arriva la telefonata di un cacciatore, afferma che il suo cane ha trovato un cadavere in una scarpata fra Lanzo e Viù, un luogo non distante da Torino. Dice di averlo visto all'interno di un armadietto di plastica, di quelli con la cerniera al centro, bianco. I responsabili avvisano il commissariato e convincono l'uomo, che vuol rimanere anonimo, a chiamare la Polizia.

Da quella segnalazione partono le ricerche; ma gli agenti, che comunque non si spingono mai oltre i primi dieci metri dei dirupi, oltre a carcasse d'auto ed elettrodomestici scassati non trovano nulla. Nei giorni il cacciatore telefona varie volte per confermare la sua versione ed indirizzare le ricerchè, però non viene più creduto e la pista lasciata cadere.

Il Prinzi, comunque, anche in assenza del cadavere viene condannato per omicidio. Non è un detenuto modello, come non era un uomo modello, ma  tra il 2005 e il 2006 c'è un incontro che gli segnerà la vita. Conosce l'insegnante di italiano che opera nel carcere dove è recluso e si innamora. E' un amore vero che lo convince a liberarsi la coscienza del grosso peso che vi ha infilato a forza anni prima.

Ed arriviamo a fine Gennaio 2007. E' in quel periodo che chiama il procuratore e confessa il delitto per cui sta scontando la pena. Ma fa di più, dice di aver gettato il corpo in una scarpata fra Lanzo e Viù ed il 31 Gennaio accompagna personalmente una squadra specializzata sul posto. Gli agenti sono convinti che non sia il luogo giusto perché privo di una piazzola di sosta, lui deve insistere per farli scendere nel dirupo e spiega che l'auto l'aveva parcheggiata dall'altro lato della strada, dove lo spazio era più che sufficiente.

Cominciano le ricerche e perdurano le perplessità. Solo dopo cinque ore in fondo a quello strapiombo viene notato un armadietto di plastica bianco. I rovi negli anni lo avevano avvolto nascondendolo al mondo. Una volta portato all'esterno ed aperto rivela tutta la verità. Valentina è lì, vestita con ciò che è rimasto della stoffa dei suoi abiti. Il giallo si è definitivamente risolto ed ora tutti possono riposare in pace.

Ma cosa ci insegna questa storia? Che certi investigatori dovrebbero cambiare mestiere e che chi ha dei pregiudizi non può fare al meglio il suo lavoro. Il cacciatore lo aveva detto che lì c'era un cadavere. Non una ma svariate volte aveva telefonato. Certo, poteva dare il suo nome ed accompagnare personalmente gli agenti alla scarpata, ma quando entri in un caso di omicidio non sai mai se poi ne esci bene o male. Il punto lo aveva indicato, l'armadio lo aveva indicato, bastava fidarsi e scendere fino in fondo. Ma non c'era una piazzola di sosta da quella parte, e chi si immaginava che l'assassino avesse parcheggiato dall'altro lato della strada?

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